Pasqua in inglese è Easter. Per me che sono calabrese, è un pò più Sud-Easter.

Tirando le somme di quest'ultimo mese, c'è poco da ridere. Il governo è caduto, il mio migliore amico anche, e non ho ancora smesso di fumare. L'orario lavorativo tende ad assumere confini sterminati, ormai cavalco come Lucky Luke praterie di lavoro e cartacce da leggere. Sorrido: cazzo, ve lo ricordate Luky Luke, versione Terence Hill? Quella era più o meno la mia infanzia, e se adesso che sono un pubblicitario più o meno affermato ho il bisogno di ricorrere a questi cassetti della memoria per trovare le parole, beh...mi ci vuole una vacanza. Pasqua, per me, è sempre stata una festa anomala. Un Natale II, almeno dal punto di vista dei consumi: uova di cioccolato bianco, fondente, finissimo, 'nduppo, al latte, per celiaci, con riso, dei Pokemon, di Hello Kitty. Uova con Baci Perugina dentro, uova con sorprese dipinte a mano. Non ho mai capito una cosa: se uno su tre è dipinto a mano, l'altro a lavatrice? E poi c'è l'agnello, che con le patate è proprio a' morte sua. La colomba, coi canditi, di cioccolato, con zucchero a velo, dipinta a mano. Stasera sono andato al supermercato, e ho chiesto: "Un uovo, di quelli al cioccolato". Dicono che non c'è più fantasia. A Pasqua, ormai, ce n'è troppa. In inglese, Pasqua è Easter.

Per me che sono calabrese, è un pò più Sud-Easter. E si va in campagna a bere e ritrovare vecchie compagnie, magari accompagnati da un buon Super Santos semisgonfio. Non serve altro, il consumismo lo lasciamo alle spalle. Un bel quadretto bucolico, vallate incontaminate e sana puzza di zimmaro.

Un gran plier a tutti.

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